lunedì 7 novembre 2016

Chiedimi come sia scrivere


Ogni volta mi chiedono come sia scrivere.
La risposta ha un che di autoreferenziale, perché devo scrivere di come ci si senta a scrivere. Ma credo che tu meriti una risposta, per quanto incompleta e soggettiva.
Scrivere, o meglio, scrivere un libro, è un'esperienza straniante. Non in questo senso, ma per il fatto che, per una larga parte della tua vita, sei in due o più luoghi allo stesso tempo. Non appena la tua mente si libera, anche durante i dieci minuti che da casa ti portano a lavoro, i tuoi pensieri tornano alla tua storia, a ripercorrere ciò che già hai scritto per convalidarne la coerenza, cercare nuovi dettagli o pensare a dialoghi efficaci.
La sera è spesso invece una maledizione. Spegni la luce, magari dopo aver scritto un po' di pagine sul tablet/notebook, guardi l'ora sul display a led arancioni della radiosveglia e chiudi gli occhi. Ma il cervello non è d'accordo con il tuo intento, continua ad elaborare intrecci, discorsi, sensazioni, nomi. E più cerchi di silenziarlo, più senti nascere in te idee nuove, esaltanti.
Sai che devi dormire ma che l'unico modo di fermare quel vortice di pensieri sarebbe riaccendere quel display e riprendere a scrivere. Ma tieni gli occhi chiusi per non guardare quell'inclemente display mostrare ore inenarrabili, con l'alba che si avvicina e dieci ore lavorative che incombono sul tuo immediato futuro.

Spesso mi chiedono come sia scrivere.
Per fare bene il tuo lavoro, per rendere palpabili i tuoi personaggi, devi provare le loro emozioni, sentire la loro fatica, percepire la loro fame, il freddo, le sensazioni sulla loro pelle. 
Devi essere loro. 
Questo ti porta ad identificarti con essi, ad amarli, tanto che a volta fai fatica a fargli del male, anche se sono "cattivi". Perché sai che sono una parte di te ed è come fare male a te stesso. Sai bene che devi scrivere ciò che deve accadere, che non hai alternativa a raccontare la storia per come dev'essere raccontata.
A volte ti senti onnipotente, perché sei il Dio dei tuoi personaggi, del tuo romanzo. Puoi far accadere tutto ed il suo opposto, davanti ad una scelta puoi decidere con sconfinata libertà, senza restrizioni, regole, limiti, se non quelli legati, ma non sempre, alla coerenza dei fatti.
Ma sei sempre un Dio schiavo della sua stessa creazione. Perché la storia in realtà scorre quasi autonomamente. Gli accadimenti nascono, si incastrano, si fondono gli uni con gli altri in modo naturale, quasi sempre senza necessità di correzioni o aggiustamenti. Tanto che scrivere diventa appassionante tanto quasi leggere, perché ciò che desideri è sapere cosa accadrà, cosa diranno o faranno i personaggi nella prossima pagina che ancora devi scrivere.

Talvolta mi chiedono come sia scrivere.
Ma nessuno mi ha mai domandato come ci si senta a smettere di scrivere. Perché ogni storia ha un inizio ed una fine. Ed ogni libro ha la necessità di essere terminato. Perché senza una fine, nessuna cosa ha senso, esattamente come l'esistenza ha necessità della sua fine per avere un fine. 
Il giorno in cui termini di leggere l'ultima pagina del tuo libro per l'ultima volta, dopo aver corretto migliaia di errori, omissioni e disortografie, quel giorno sei triste. Perché quei personaggi, quegli avvenimenti, non faranno più parte di te, sono liberi come i tuoi figli quando vanno al College e sai che sì, a Natali li rivedrai, ma non sarà più lo stesso.
Ma sei anche felice per aver soddisfatto quell'esigenza ingestibile di raccontare ciò che hai dentro, di traslare in lettere, parole, frasi e pagine ciò che la tua anima ha necessità di espellere da sé per tornare ad essere sé. Scrivere è una necessità primaria, come respirare, mangiare, dormire. E' un'azione che il tuo corpo, la tua mente ti obbligano a fare, anche contro la tua volontà, la tua razionalità. Perché, semplicemente, non puoi farne a meno. Anche se sai che pochi o nessuno ti leggeranno, che ancor meno ti apprezzeranno. Ma non è questo che ti spinge a farlo, perché la fatica, le energie mentali ed il tempo dedicato non possono essere in nessun caso giustificati da una spinta che non nasca dal tuo io.

Nessuno mi ha mai chiesto come sia scrivere.
Ma se qualcuno mai me lo chiedesse, potrei fargli leggere questo post.

mercoledì 2 novembre 2016

Giorgia on my mind

Giorgia è la più grande voce femminile italiana di sempre. Sappilo.
Si, ok, è un ex-aequo, ma solo perché Mina e Giorgia non sono gareggiano nella stessa classe.

Giorgia, dicevo, è la più grande voce italiana. E come spesso accade alle grandi voci italiane, si è frantumata contro brani in gran parte iniqui nei confronti della sua voce.

Voglio dire, ascolta questa:

Lascia perdere il video molto (troppo) anni 90. Ed anche il pessimo lip-sync.
E' quasi perfetta. Quasi.
Più la ascolto e più penso che gli manchi qualcosa. O meglio, che abbia qualcosa di troppo. L'incipit iniziale, intimistico e retto egregiamente su frequenze infime (per una donna), sfumature vocali che non posso fare a meno di continuare ad ascoltare. Però fammi il piacere di fermare il video a 2:08. Il resto è solo meretricio musicale.

Perché poi il 95% della produzione di Giorgia è esattamente questo, una produzione Puttanata Commerciale s.p.a.
E' una violenza, un reato contro le sue capacità canore, tecniche ma soprattutto emozionali.
Per dire:

Questo l'avrebbe potuto cantare chiunque. Ok, non sarebbe la stessa cosa, ma sarai d'accordo con me che il brano non la valorizza? Non solo, né la musica né il testo hanno alcunché di valore. Eppure ci hanno investito tanto da farci anche un videoclip, quindi non dev'essere la classica canzone riempitiva per chiudere l'album, immagino.
Purtroppo non sono un cultore dei suoi album, non potrei reggere un'ora di sofferenza e rabbia solo per godermi pochi minuti. Non siamo mica sposati? Potrebbero quindi sfuggirmi quelle chicche che poco passano in radio e di cui magari nemmeno c'è il video ufficiale su YouTube.
Questa non è una chicca, ci mancherebbe, ma ben rappresenta cosa Giorgia potrebbe aver fatto negli ultimi 20 anni:

La voce di Giorgia non è solo acuta. La sua non è solo tecnica. E' l'insieme ad essere più grande della somma delle singole parti. L'estensione vocale è a tratti disarmante, la capacità di aggiungere sfumature, virtuosismi mai banali e, soprattutto, mai futili. Giorgia emoziona sia quando raggiunge vette elevatissime, sia quando sembra accanto a te, che ti stia cantando sottovoce solo per voi due. Emoziona quando più che cantare, parla. Puoi ben comprendere, dunque, la mia rabbia. Come se per colpa di qualcuno o qualcosa, il destino ci abbia privato di ciò che ci spettava di diritto, la possibilità di ascoltare appieno la sua voce.

Giorgia è l'ennesimo caso di talento immolato sull'altare del business. Come lei Tiziano Ferro, altra grande voce ridotta a macchietta da brani insulsi e vomitevoli. Non perché  siano brutti (è piuttosto difficile produrre una brutta canzone, al massimo inutile) ma perché sopportare quello spreco di talento non può che causare convulsioni. Non è un caso che abbiano cantato assieme, ovviamente risultati del tutto trascurabili.

Giorgia poteva essere immortale, invece ha scelto (o è stata consigliata) di percorrere una strada diversa. Anche il suo essere poco appariscente, poco presente sui rotocalchi, quasi schiva (in modo simile, ma meno marcato, proprio a Mina). Questione di carattere, immagino.
Ma non sai quanto mi faccia soffrire pensare a cotanto potenziale disperso, come se Leonardo si fosse limitato a progettare mulini a vento.
Ti lascio con un ultimo brano, un brano che non è suo. E' un brano di Alex Baroni, un'altra grande voce spezzata, legata a lei fino a pochi mesi prima della sua tragica morte.


Solo Dio (o il Grande Architetto) sanno cosa sarebbe potuta essere Giorgia. A me resta il rimpianto.
E qualche piccola lacrima di talento sfuggita al destino.