lunedì 7 novembre 2016

Chiedimi come sia scrivere


Ogni volta mi chiedono come sia scrivere.
La risposta ha un che di autoreferenziale, perché devo scrivere di come ci si senta a scrivere. Ma credo che tu meriti una risposta, per quanto incompleta e soggettiva.
Scrivere, o meglio, scrivere un libro, è un'esperienza straniante. Non in questo senso, ma per il fatto che, per una larga parte della tua vita, sei in due o più luoghi allo stesso tempo. Non appena la tua mente si libera, anche durante i dieci minuti che da casa ti portano a lavoro, i tuoi pensieri tornano alla tua storia, a ripercorrere ciò che già hai scritto per convalidarne la coerenza, cercare nuovi dettagli o pensare a dialoghi efficaci.
La sera è spesso invece una maledizione. Spegni la luce, magari dopo aver scritto un po' di pagine sul tablet/notebook, guardi l'ora sul display a led arancioni della radiosveglia e chiudi gli occhi. Ma il cervello non è d'accordo con il tuo intento, continua ad elaborare intrecci, discorsi, sensazioni, nomi. E più cerchi di silenziarlo, più senti nascere in te idee nuove, esaltanti.
Sai che devi dormire ma che l'unico modo di fermare quel vortice di pensieri sarebbe riaccendere quel display e riprendere a scrivere. Ma tieni gli occhi chiusi per non guardare quell'inclemente display mostrare ore inenarrabili, con l'alba che si avvicina e dieci ore lavorative che incombono sul tuo immediato futuro.

Spesso mi chiedono come sia scrivere.
Per fare bene il tuo lavoro, per rendere palpabili i tuoi personaggi, devi provare le loro emozioni, sentire la loro fatica, percepire la loro fame, il freddo, le sensazioni sulla loro pelle. 
Devi essere loro. 
Questo ti porta ad identificarti con essi, ad amarli, tanto che a volta fai fatica a fargli del male, anche se sono "cattivi". Perché sai che sono una parte di te ed è come fare male a te stesso. Sai bene che devi scrivere ciò che deve accadere, che non hai alternativa a raccontare la storia per come dev'essere raccontata.
A volte ti senti onnipotente, perché sei il Dio dei tuoi personaggi, del tuo romanzo. Puoi far accadere tutto ed il suo opposto, davanti ad una scelta puoi decidere con sconfinata libertà, senza restrizioni, regole, limiti, se non quelli legati, ma non sempre, alla coerenza dei fatti.
Ma sei sempre un Dio schiavo della sua stessa creazione. Perché la storia in realtà scorre quasi autonomamente. Gli accadimenti nascono, si incastrano, si fondono gli uni con gli altri in modo naturale, quasi sempre senza necessità di correzioni o aggiustamenti. Tanto che scrivere diventa appassionante tanto quasi leggere, perché ciò che desideri è sapere cosa accadrà, cosa diranno o faranno i personaggi nella prossima pagina che ancora devi scrivere.

Talvolta mi chiedono come sia scrivere.
Ma nessuno mi ha mai domandato come ci si senta a smettere di scrivere. Perché ogni storia ha un inizio ed una fine. Ed ogni libro ha la necessità di essere terminato. Perché senza una fine, nessuna cosa ha senso, esattamente come l'esistenza ha necessità della sua fine per avere un fine. 
Il giorno in cui termini di leggere l'ultima pagina del tuo libro per l'ultima volta, dopo aver corretto migliaia di errori, omissioni e disortografie, quel giorno sei triste. Perché quei personaggi, quegli avvenimenti, non faranno più parte di te, sono liberi come i tuoi figli quando vanno al College e sai che sì, a Natali li rivedrai, ma non sarà più lo stesso.
Ma sei anche felice per aver soddisfatto quell'esigenza ingestibile di raccontare ciò che hai dentro, di traslare in lettere, parole, frasi e pagine ciò che la tua anima ha necessità di espellere da sé per tornare ad essere sé. Scrivere è una necessità primaria, come respirare, mangiare, dormire. E' un'azione che il tuo corpo, la tua mente ti obbligano a fare, anche contro la tua volontà, la tua razionalità. Perché, semplicemente, non puoi farne a meno. Anche se sai che pochi o nessuno ti leggeranno, che ancor meno ti apprezzeranno. Ma non è questo che ti spinge a farlo, perché la fatica, le energie mentali ed il tempo dedicato non possono essere in nessun caso giustificati da una spinta che non nasca dal tuo io.

Nessuno mi ha mai chiesto come sia scrivere.
Ma se qualcuno mai me lo chiedesse, potrei fargli leggere questo post.

mercoledì 2 novembre 2016

Giorgia on my mind

Giorgia è la più grande voce femminile italiana di sempre. Sappilo.
Si, ok, è un ex-aequo, ma solo perché Mina e Giorgia non sono gareggiano nella stessa classe.

Giorgia, dicevo, è la più grande voce italiana. E come spesso accade alle grandi voci italiane, si è frantumata contro brani in gran parte iniqui nei confronti della sua voce.

Voglio dire, ascolta questa:

Lascia perdere il video molto (troppo) anni 90. Ed anche il pessimo lip-sync.
E' quasi perfetta. Quasi.
Più la ascolto e più penso che gli manchi qualcosa. O meglio, che abbia qualcosa di troppo. L'incipit iniziale, intimistico e retto egregiamente su frequenze infime (per una donna), sfumature vocali che non posso fare a meno di continuare ad ascoltare. Però fammi il piacere di fermare il video a 2:08. Il resto è solo meretricio musicale.

Perché poi il 95% della produzione di Giorgia è esattamente questo, una produzione Puttanata Commerciale s.p.a.
E' una violenza, un reato contro le sue capacità canore, tecniche ma soprattutto emozionali.
Per dire:

Questo l'avrebbe potuto cantare chiunque. Ok, non sarebbe la stessa cosa, ma sarai d'accordo con me che il brano non la valorizza? Non solo, né la musica né il testo hanno alcunché di valore. Eppure ci hanno investito tanto da farci anche un videoclip, quindi non dev'essere la classica canzone riempitiva per chiudere l'album, immagino.
Purtroppo non sono un cultore dei suoi album, non potrei reggere un'ora di sofferenza e rabbia solo per godermi pochi minuti. Non siamo mica sposati? Potrebbero quindi sfuggirmi quelle chicche che poco passano in radio e di cui magari nemmeno c'è il video ufficiale su YouTube.
Questa non è una chicca, ci mancherebbe, ma ben rappresenta cosa Giorgia potrebbe aver fatto negli ultimi 20 anni:

La voce di Giorgia non è solo acuta. La sua non è solo tecnica. E' l'insieme ad essere più grande della somma delle singole parti. L'estensione vocale è a tratti disarmante, la capacità di aggiungere sfumature, virtuosismi mai banali e, soprattutto, mai futili. Giorgia emoziona sia quando raggiunge vette elevatissime, sia quando sembra accanto a te, che ti stia cantando sottovoce solo per voi due. Emoziona quando più che cantare, parla. Puoi ben comprendere, dunque, la mia rabbia. Come se per colpa di qualcuno o qualcosa, il destino ci abbia privato di ciò che ci spettava di diritto, la possibilità di ascoltare appieno la sua voce.

Giorgia è l'ennesimo caso di talento immolato sull'altare del business. Come lei Tiziano Ferro, altra grande voce ridotta a macchietta da brani insulsi e vomitevoli. Non perché  siano brutti (è piuttosto difficile produrre una brutta canzone, al massimo inutile) ma perché sopportare quello spreco di talento non può che causare convulsioni. Non è un caso che abbiano cantato assieme, ovviamente risultati del tutto trascurabili.

Giorgia poteva essere immortale, invece ha scelto (o è stata consigliata) di percorrere una strada diversa. Anche il suo essere poco appariscente, poco presente sui rotocalchi, quasi schiva (in modo simile, ma meno marcato, proprio a Mina). Questione di carattere, immagino.
Ma non sai quanto mi faccia soffrire pensare a cotanto potenziale disperso, come se Leonardo si fosse limitato a progettare mulini a vento.
Ti lascio con un ultimo brano, un brano che non è suo. E' un brano di Alex Baroni, un'altra grande voce spezzata, legata a lei fino a pochi mesi prima della sua tragica morte.


Solo Dio (o il Grande Architetto) sanno cosa sarebbe potuta essere Giorgia. A me resta il rimpianto.
E qualche piccola lacrima di talento sfuggita al destino.

giovedì 6 ottobre 2016

NFL Week 4 - Kansas City Chiefs at Pittsburgh Steelers


Allora, ricapitoliamo.
Fumble, intercetto, punt fuori campo, field goal sul palo, TD su ritorno annullato, downs.
Più o meno il riassunto della partita in meno di una riga.
Tutto quello che di negativo (escluso infortuni) può succedere ad una squadra in una partita di football, è successo ai Chiefs domenica scorsa.

E' chiaro, non è una scusa per la sconfitta, avremmo perso in qualunque caso. Troppo forti gli Steelers e troppo scarsi noi, sia in attacco che, soprattutto, in difesa. Amnesie difensive ingiustificabili, intensità nei placcaggi, per così dire, rivedibile, drop incredibili e scarsa attenzione sui blocchi.

Da tifoso l'unica cosa che posso è aggrapparmi alla speranza che tutta la negatività si sia concetrata in quest'unica partita, che le pessime condizioni meteo (e del campo) abbiano negativamente influenzato la nostra prestazione e che, soprattutto, serva di lezione ad una squadra che non sta assolutamente rispettando le aspettative.

Nota positiva il rientro di Charles, anche se con esiti dimenticabili. Male tutti, con piccole menzioni d'onore a Ware e Hill. Ma nemmeno loro arrivano alla sufficienza (e forse nemmeno al 5).
Se non cambia qualcosa, i Playoff sono un miraggio.

martedì 4 ottobre 2016

Riserva dei panda


Crescere un bambino, pensare alla sua educazione ed alla sua salute, può essere distopico. Ti ritrovi quasi tutti i giorni ad imporgli scelte che vanno contro la sua volontà: studia anziché giocare, mangia le verdure anziché hamburger e patatine, vai a letto presto, non toccare i fili scoperti dell'alta tensione...
Tu sai benissimo che ciò che sei costretto ad ordinargli è per il suo bene, perché sei conscio delle conseguenze del contrario. Se non studiano, non avranno un futuro, se non mangiano correttamente, avranno problemi di salute, e così via. Lo sai perché hai passato gli ultimi 20-30-40 anni della tua vita a comprendere che ogni azione e comportamento ha delle conseguenze, alcune immediate (toccare i fili della corrente comporta una scossa), altre a lungo termine (se mangi ogni giorno da McDonalds diventi come Giuliano Ferrara).

La cosa potrebbe avere un suo perché.

Crescendo, parallelamente scopri che non tutti hanno invece questa consapevolezza. O meglio, anche loro continuano a dire ai figli di mangiar bene e non giocare con il 220v, ma poi hanno un orizzonte temporale di non più di 10 minuti. A volte pure meno.

Una certa frangia di femminismo sostiene che le donne debbano essere uguali agli uomini, con gli stessi diritti e gli stessi doveri. Anzi, devono essere PIU' uguali, perché devono avere gli stessi diritti degli uomini, ma non viceversa.
Un mio caro amico vede sua figlia per un'ora al mese, davanti agli psicologi, senza aver mai fatto nulla di male, né a lei né alla ex-moglie. Ma ella ha il diritto di negarli ciò che un giudice ha contrariamente deciso, ovvero l'essere padre nonostante non sia più un marito. Puoi credermi o meno, ma questa è la verità. E se pensi che possa essere un caso isolato, ricrediti.

Le donne vogliono essere tutelate, ma non in quanto madri, lavoratrici o cittadine, ma in quanto donne. Può sembrare sofistico, ma non c'è nulla di più razzista nell'esigere protezioni speciali solo per il fatto di essere nate femmine. 

Devi sapere che tanti anni fa, in un'epoca nella quale ancora Facebook non esisteva, frequentavo l'Università. Ingegneria Informatica, per la precisione. Non è un dettaglio da poco, perché già tra le aule di Ingegneria le donne sono una presenza rara, ma in quel particolare corso erano meno frequenti di un rinoceronte bianco.
Sul 150 matricole, c'erano 4 ragazze.

Una foto dell'epoca.

Ricordo perfettamente gli sguardi di quasi 300 occhi puntati su quelle, in media, non attraentissime donzelle, che pure avevano fior di capacità di arrivare laddove il 75% dei loro compagni (me compreso) non sarebbero arrivati, ovvero a discutere la tesi.
Un giorno arrivò un rappresentate della Cisco, azienda leggendaria nel comparto informatico. Un luogo dove, non lo nego, avrei sognato di lavorare. Il markettaro fece un grande pippone sul futuro di internet e sul ruolo leader della sua azienda. Era come vendere birra nel deserto: eravamo tutti estasiati e pendenti dalle sue labbra.
Infine terminò esponendo un particolare corso di formazione, aperto a 10 alunni, scelti tramite una prova scritta. Solo i più meritevoli avrebbero avuto l'opportunità di parteciparvi. Poi aggiunse che metà dei posti, per quelle che oggi sono nominate "quote rosa", erano riservati a donne.

Non ci vuole un genio della probabilità per capire come 146 maschi dovevano contendersi 5 posti, mentre 4 femmine potevano pure lasciare il foglio in bianco. Ma se desideri due numeri eccoli: io avevo il 3,4% di possibilità di passare il test, una qualunque di quelle ragazze ne aveva il 125%.
Ovvero sarebbe passata anche contro la sua volontà.

Tutto questo ti sembra equo? Ti sembra un modo per rispettare quelle ragazze per le loro capacità? Oppure dava loro un'opportunità pressoché unica solo per il fatto di essere nate con la vagina anziché con il pene?


Questo è valido in ogni aspetto della vita. Non puoi discriminare, seppur a fin di bene, le donne dagli uomini per dare alle prime maggiori opportunità solo per diritti di nascita. Tutto questo è immorale, soprattutto nei loro confronti. Oltre ad essere incostituzionale, tra l'altro.
Poteva avere un senso 50 anni fa, forse, ma oggi è talmente anacronistico che, fra pochi mesi, con ogni probabilità la prima donna prenderà il posto del primo nero nell'ufficio più influente del mondo, senza avere avuto la necessità di avere la strada spianata per via del suo organo riproduttivo.

Mi dirai che ci sono poche donne a manovrare le leve del potere. E sarà anche vero. Ma siamo sicuri che il motivo sia il maschilismo imperante? O magari le donne sono, in media, meno interessate degli uomini a impegnarsi in certi ruoli? Perché allora non dovrebbero trovare scandalo se qualche uomo desideroso di potere programmi un viaggio a Casablanca.
Perché non sento alcuna difendere la necessità che la metà dei lavoratori del settore edilizio debba essere donna? Oppure che almeno il 50% degli scaricatori di porto possa indossare tacchi alti e minigonna? E non sarebbe più equo, a par suo, riservare la metà delle cattedre del sistema scolastico pubblico al sesso maschile?
Non si tratta di maschilismo o femminismo. Si tratta di difendere i propri diritti. Perché se è pur vero che molto spesso le donne non godono dello stesso trattamento di cui godono gli uomini, questa non può essere una giustificazione per scadere nella situazione opposta.


Il punto è che le donne e gli uomini NON sono uguali. I due sessi hanno caratteristiche diverse, attitudini diverse, esigenze diverse. Se per una donna il diritto alla maternità è sacrosanto e dev'essere difeso, è anche vero che il diritto alla paternità dev'essere tutelato anche (e soprattutto) in quelle situazioni dove esso è in pericolo.
Non è una questione di numeri, di posti riservati. E' una questione più grande, perché gli uomini e le donne NON DEVONO avere gli stessi diritti, perché NON SONO UGUALI. I diritti devono essere commisurati alle necessità di ognuno, necessità che variano perché diverse sono le esigenze connaturate al sesso. Se per un uomo sollevare 20Kg di solito non è un problema, per la donna quasi sempre lo sarà. Giusto quindi che la legge preveda diversi limiti per i due sessi. Similmente sarebbe poco utile per un uomo avere mammografie gratuite, non credi?
Le donne devono avere diritti simili agli uomini, non gli stessi o maggiori. Perché a rincorrere la forzata parità ci troveremo nella spiacevole situazione nella quale saranno gli uomini ad essere discriminati in quanto tali.
E se in alcuni ambiti il mero numero di donne è inferiore al numero degli uomini, o anche viceversa, è ingiusto e ingiurioso creare riserve indiane discriminatorie.

Perché una volta entrato i un recinto, devi essere consapevole che potresti non uscirne più.

sabato 1 ottobre 2016

Brividi


Nel 1970 viene introdotta la legge Fortuna-Baslini, il dimenticato Jochen Rindt vince il campionato di Formula 1 davanti a Jacky Ickx e mia madre conosce mio padre.
A Londra, invece, viene registrato il Concept Album di Jesus Christ Superstar.
Poco dopo l'inizio del quarto brano, Everything's Alright: non è tra i più famosi, e forse nemmeno tra i migliori. Ma quella che entra in scenda dopo poche decine di secondi è la voce di Judas, interpretata da Murray Head. Non minimizzo se sostengo che è uno degli attacchi più belli non solo dei musical, ma di tutta la musica leggera di sempre.
Ascoltarlo, mi genera ogni volta brividi lungo la schiena. Non sto scherzando. OGNI SANTISSIMA VOLTA.
Woman your fine oinment - brand new and expensive
Could have been saved for the poor
Why has it been wasted? We could have raised maybe
Three hundred silver pieces or more
People who are hungry, people who are starving
Matter more than your feet and hair
Jesus Christ Superstar (Original Concept Album) 

In queste poche strofe è raccolto quasi tutto il senso del musical, il conflitto interiore di Judas tra la sofferenza terrena del suo popolo e la presenza divina di Jesus, tra il bene immediato e quello eterno.

Head non è, e non è mai stato, molto famoso. Nulla di paragonabile al collega che interpretò proprio Jesus in quello stesso album, Ian Gillan.
Che, se non sei avezzo di musica rock, è il cantante di un certo gruppo piuttosto conosciuto chiamato Deep Purple.
Ho avuto la fortuna di assistere dal vivo ad un loro concerto, durante una giornata del Pistoia Blues, nel 1999. All'epoca Internet non era quella che è adesso, e di certo Wikipedia non esisteva. Seppi solo quella sera, quindi, che Ritchie Blackmore aveva lasciato definitivamente la band solo pochi anni prima. Per carità, Steve Morse non era un fermone, anzi. Ma per me, cresciuto con videocassette malamente doppiate di concerti dei Deep Purple in formazione classica (ma io direi "vera"), quella fu una batosta.


L'esperienza di quel concerto, fu scioccante. Ma non fu solo il concerto. Il Pistoia Blues è qualcosa che va (andava?) ben oltre il semplice concerto in piazza. Appena sceso dal treno, a pochi metri dai binari, un gruppo di sconosciuti con batteria, basso e chitarra già emanava il classico trittico di accordi blues. Uscito in strada, un'altro tizio con chitarra e armonica accompagnava una ragazza nell'ennesima interpretazione di I'll Take Care Of You. La cosa si ripeté per tutto la strada verso la piazza centrale. Gente super attrezzata, con amplificatori, casse, batterie iper-mega e microfoni da migliaia di lire (all'epoca ancora non c'era l'euro, per dire quanto sono vecchio). E poi c'erano tizi che con uno zoccolo, una ciabatta ed un'acustica scordata impersonavano la perfetta espressione del blues.

La serata cominciò presto, con gruppi ed artisti sconosciuti e sconoscibili. Dopo i mancabili gruppi spalla salì Lucky Peterson, che forse rappresentava l'unico vero bluesman che avrei sentito per tutta la serata. 
Poi arrivò Jonny Lang. Lo ricordo bene perché, in pratica, aveva la mia età ed apriva il concerto dei Deep Purple. Quando si dice essere arrivati.
Io ero già stanco, attorno a me c'era più droga che nella villa di Escobar e ne avevo piene le palle del blues.
Ma dopo qualche decina di minuti di attesa, le note di Smoke On The Water ripagarono ogni singolo faticoso minuto speso per arrivare lì.


Stesso posto, 9 anni dopo. Ma 9 anni, per i Deep Purple, equivalgono a 9 mesi di un essere umano.

Che poi, a dirla tutta, nemmeno adoravo i Deep Purple. Cioé, non puoi non apprezzare i Deep Purple, per carità. Sarebbe come non apprezzare la Cappella Sistina. Ma per suoni e storia ero più legato ad altri gruppi, meno duri ma più eclettici.
In ogni caso, la piazza era stracolma. Gente che fumava, gente che beveva, gente che pogava. Ma nessuno che piangeva.


Voglio dire, ero davanti ad uno dei gruppi che hanno fatto la STORIA del ventesimo secolo, gente che riempie le piazze da quasi CINQUANTANNI. Ed attorno a me c'era solo gente che godeva. Ragazzini come me non ancora maggiorenni, trentenni sotto LSD, gente di mezza età con cannoni lunghi 40 centimetri.
Vorrei tornare qui, tra 50 anni, a verificare se ancora qualcuno ricorda il nome di uno componente degli One Direction, dei Tokyo Hotel o dei Backstreet Boys. La musica è ormai un bene di consumo, con data di scadenza, un disco (virtuale) da ascoltare e dimenticare subito dopo, per passare ad altro.
Ogni volta che leggo le bio degli X-Japan mi vengono i brividi. Una carriera brevissima (appena 5 album), un lampo intensissimo nella scena rock mondiale che ci ha lasciato perle più emozionanti di mille brani di Justin Bieber.
I discografici fanno il loro lavoro, ma per me è molto più importante la musica che il personaggio. E solo quando lo capiranno anche loro, avremo meno meteore e più supernove.

Con un brivido ho iniziato e con un'altro finisco.


venerdì 30 settembre 2016

Libero arbitrio

Ogni mattina arrivo in ufficio e trovo ad accogliermi questi pulsanti.
Servono a richiamare l'ascensore al piano così che io, obeso indefesso, possa accoccolarmici dentro.
I pulsanti, come vedi, sono due. Uno serve a comunicare all'ascensore che desideri salire, l'altro che invece vuoi scendere.
Due pulsanti.
Sembra semplice, no?
Evidentemente non è così, visto che la gente continua a non capirne il funzionamento.

Io mi immagino queste persone che si approcciano al complesso congegno, trovandosi di fronte a molteplici possibilità. Possono non premere alcun pulsante, attendendo ore che, per caso, l'ascensore giunga al loro piano. Oppure possono premere il pulsante corrispondente alla direzione che devono intraprendere.
Oppure, nel dubbio, li premono entrambi.
Ovviamente è superfluo che io ti racconti quale di queste possibilità si realizzi la maggior parte delle volte, nevvero?
Salvo che, poi, si lamentano dell'idiozia dell'ascensore che li porta al piano sbagliato, quando al contrario l'idiozia è di chi non sa utilizzare un sistema talmente semplice ed autoesplicativo.

Questo mi porta a pensare che il libero arbitrio sia sopravvalutato. L'essere umano medio non sa scegliere, o meglio, ha paura di fare la scelta sbagliata e, di conseguenza, le sceglie tutte o non sceglie affatto. E credo anche che chi è arrivato a presiedere all'attuale ordinamento si sia reso conto ben prima di me di tale caratteristica del genere umano. Non si spiega altrimenti l'indirizzo generale che tratta il cittadino come un lemming circondandolo di mille attenzioni e divieti, in modo da evitare che si faccia del male. Perché ognuno di noi è un potenziale aspirante ai Darwin Awards.

Qualche esempio: sui pacchi di sigarette appaiono minacciosi avvisi sulla cancerogenicità del contenuto, quando TUTTI sanno che fumare non solo non fa bene, ma fa proprio male; le auto ti avvisano con un cicalino se non agganci la cintura, come se all'auto interessasse qualcosa se il guidatore vuole o meno sopravvivere ad un incidente; per non parlare di roba come questa:

Poi penso allo Stato che non ti permette di suicidarti.

Voglio dire, una volta tanto che uno è consapevole di tutto ciò che è, di tutto ciò che sta passando, tu gli vuoi impedire di uccidersi?
Per quale motivo?
Tu sostieni di ispirarti a valori cristiani, così come la maggior parte del tuo popolo, eppure rinneghi quella stessa regola fondamentale cui Dio stesso si attiene in ogni sua azione.
Il Libero Arbitrio.
Veramente io prendo oggi a testimoni contro di voi i cieli e la terra, che ti ho messo davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; e devi scegliere la vita per continuare a vivere, tu e la tua progenie.
Deuteronomio 30:19 

Dio ti chiede di scegliere la vita. Non ti impone la scelta. Ma se Dio stesso non si arroga il diritto di decidere per gli essere che lui ha creato, come può una legge dell'uomo pretendere vita o morte dei suoi pari?
Perché da negare la morte a negare la vita il basso è breve. Si tratta sempre di abusare della libertà che devono avere gli uomini (e le donne, aggiungerebbe la mia prof di matematica del Liceo) di autodeterminarsi. Se credi in Dio, devi lasciare all'uomo la facoltà di sbagliare. Se non ci credi, a maggior ragione, devi consentirgli di fare tutto ciò che desidera senza che questo cagioni danno ad altri.
Non c'è alcuna scusante in questa assenza di diritto.

Se non che la considerazione che il popolo ha dei malati terminali è che essi non siano esseri umani.

giovedì 29 settembre 2016

NFL Week 3 - New York Jets at Kansas City Chiefs


Sei intercetti.
Roba che tante squadre ne fanno meno in un intero anno.
I Chiefs ne hanno fatti tanti in una sola partita.

La sintesi della serata sta in questo numero.
Il caro amico Fitz è sembrato, ad un certo punto impossibilitato a lanciare, visto che completava più intercetti che lanci. Eppure, nonostante questa larga vittoria, i lati oscuri nel gioco di Kansas City rimangono.

La partita
Dopo i primi due drive interlocutori, i Jets ripartono dalla loro prima yard, grazie ad un gran punt di Colquitt. Poi il primo intercetto. Sono passati 10 minuti e Peters riceve un lancio neppure troppo malvagio di Fitzpatrick. E' il terzo in tre partite, ma è solo l'inizio.
Ware e Hill guadagnano 13 yardes a testa, poi si entra nella zona Kelce: TD.
Il secondo quarto comincia con un fumble. Perché se gli intercetti alla fine saranno 6, ad essi si aggiungono altri due turnover. Ma l'attacco non punge e ci vuole il solito Santos, con un abbordabilissimo calcio da 27yardes per aggiornare nuovamente il tabellino.
Cosa che si ripete subito dopo, perché sulla sua rimessa in gioco, lo Special Team causa un fumble, non ricoperto ma preso al volo da Harris, per il secondo TD.
Fitzpatrick sembra sbloccarsi quando, con un lancio profondo per Anderson, guadagna 26 yardes. Poi il drive si ferma e i Jets sono costretti al calcio. Saranno gli unici punti della partita.
Smith ha due minuti al termine del primo tempo, bastano appena per una sportellata da Richardson e Williams.

 Il terzo quarto riparte con le squadre contratte. Kansas City tenta di controllare la partita, ma commette infrazioni a ripetizione. New York non ne approfitta, con Fitzpatrick che continua a lanciare per tentare il recupero.
Gli arbitri tolgono un TD sacrosanto a Ware, dopo un volo spettacolare in endzone. La cosa credo abbia fatto alterare non poco i Capi, tanto che le successive 5 azioni dei Jets termineranno con un intercetto, il quarto dei quali terminato meritatamente di forza e di determinazione in touchdown da Derrick Johnson.
C'è tempo solo per del garbage time, decorato dall'ultimo intercetto di giornata.

Il commento
Una vittoria è una vittoria, e con 16 partite a campionato non è che si possa stare a questionare sul come sia arrivata.
Ma è indubbio che la squadra soffra ancora di problemi sistematici all'attacco. Problemi che non so quanto possano risolversi con il rientro di Charles.
Kelce è ulteriormente salito di livello rispetto allo scorso anno, anche se commette ancora troppi offside. Ware è una grande sopresa, un RB che quasi completa più ricezioni che corse. E grande aspettativa anche per Hill, che al contrario ama partire da dietro e piazzare accelerazioni fantascientifiche che letteralmente bucano la difesa.
Ma spesso Smith non riesce ad innescare queste giocate, o si fa leggere troppo facilmente dalla difesa avversaria.
Aggiungiamoci un Maclin molto sorvegliato dagli avversari (ed a tratti un po' disattento) ed all'ingombrante presenza in tuta fuori dal campo di Jamaal, e troviamo le ragioni dei nostri problemi.

Quanto alla difesa, non riesco a discernere quanto sia merito nostro e quanto demerito dei Jets. C'è da dire che anche prima del quarto quarto da incubo di Fitzpatrick, la difesa aveva già completato un intercetto e due fumble, oltre a costringere i Jets ad un solo FG, per altro non semplicissimo.
Resta il problema sack, appena tre in tre partite (e zero contro i Jets). Vero, quando raccogli 8 intercetti, significa che in un modo o nell'altro i QB sono sotto pressione, anche se non quella tradizionale nella tasca.

Ma non mi sento molto tranquillo.


mercoledì 28 settembre 2016

Hai una sigaretta da offrirmi?


Un mio carissimo amico (che NON è quello in foto), perennemente squattrinato e semi-digiuno di figa, avevo questo detto per approcciare le ragazze. O a volte solo per scroccare una sigaretta.
Ma ho sempre trovato affascinante l'uso di queste specifiche parole. Mi piace pensare che abbia raffinato la sua richiesta in anni e anni di due di picche, fino a raggiungere il miglior risultato con il minor numero di parole possibile.
Non chiedeva "Hai una sigaretta?". E nemmeno "Mi offri una sigaretta?".
Ci sono mille modi per chiedere una sigaretta, ma questo in particolare non verteva tanto sul fatto che lui chiedesse una sigaretta, quanto sull'altro che potesse offrirgliene una. Nella richiesta infatti, non è esplicitata l'offerta in sé, quanto l'esistenza stessa della sigaretta in più da potergli donare.

La parafrasi delle sue richieste apparirebbe più o meno come "E' in tuo possesso una sigaretta di cui puoi fare a meno e che puoi gentilmente offrirmi di tua spontanea volontà?"

Inutile sottolineare come abbia sempre fumato (e non solo) praticamene gratis, in giro per i locali. E qualche volta ha trascorso qualche divertente serata in dolce compagnia.

Se oggi avesse ancora 20 anni, invece, tutto questo non sarebbe possibile.
Adesso c'è la sigaretta elettronica.

Che poi, sarebbe più corretto dire elettrica, poiché di elettronica ha ben poco (almeno non mi risulta abbia al suo interno un microcontrollore). Ovviamente il nome è frutto di una scelta di marketing, poiché "elettronica" è ben più figo di elettrica. Non è mica un ferro da stiro?
Beh, in realtà è molto più simile ad un ferro da stiro che ad un qualunque apparato elettronico, fosse anche la tua lavastoviglie.
Si tratta di una batteria, un pulsante ed un sottile filo di rame a costituire una resistenza. Tale filo, se messo sotto tensione, si scalda, fa evaporare il liquido contenente nella "sigaretta" ed il gioco è fatto.
Non vedrai mai qualcuno chiederti del liquido o una batteria di ricambio per la tua e-cig. Ed il mio amico non può più attaccare bottone con la scusa di una fumata. Un po' un peccato.

E se questo lo dico io, che non ho mai toccato una bionda in vita mia, è tutto un dire.

Ma c'è di più, perché il rischio "geek" della sigaretta elettronica è elevatissimo.
Ho visto gente cominciare ad utilizzarla al posto delle sigarette tradizionali, con la scusa del "fanno meno male", "voglio smettere", "posso fumare dove voglio", ecc...
Poi hanno cominciato a navigare su internet alla ricerca del modello più potente, con resistenza maggiorata e bocchino più grande. Poi hanno trovato quello più figo, con inserti in oro e vetro in cristallo. Poi l'immancabile accendino per sigarette elettroniche. Poi hanno trovato la batteria più grande, il contenitore più capiente, la custodia in pelle di daino ucciso da un cacciatore vegano. Ed infine hanno acquistato la collezione completa di fragranze da 300 flaconcini da un anonimo venditore cinese su Alibaba, che probabilmente l'ha prodotte con gli scarti derivati dalla costruzione degli iPhone.

Con il risultato che fumano il triplo di prima, spendono 10 volte tanto e si ritrovano il sangue contaminato da sostanze indicibili.

Senza contare che con una sigaretta elettronica, sembrano il doppio più imbecilli.

martedì 27 settembre 2016

Salviamo almeno le forme

Il titolo del post riprende un vecchio slogan anni 80 di una (nota) società di distribuzione di divani & affini.

Ti dirò la verità, non ho mai compresa appieno questo claim, forse perché ero troppo imbermbe per comprendere lo spot. Ma chissà perché mi è venuto in mente pensando a te.
No, non a te, a quell'altra.
Ecco si, sto parlando di te.
Sei una ragazza carina, non una top model, ok. Però hai un bel fisico, longilineo, sei alta, anche se quanto a seno la natura è stata piuttosto avara. Ma di certo non hai di che lamentarti.

Vorrei però che mi spiegassi per quale motivo non una volta in questi sei anni, NON UNA SOLA FOTTUTA VOLTA hai provato a vestirti decentemente per venire in ufficio.

Ora, io non sono un guru della moda (e nemmeno un modello) ed il mio outfit è, diciamo così, rivedibile. Ma, seppur raramente, tento di accostare maldestramente due colori, indossare una polo un po' più raffinata, una pantalone un attimo più attillato. E probabilmente nemmeno dovrei permettermelo, visto il fisico più simile ad un palla da rugby che da football.
Non dico che dovresti indossare chissà quale abito o pagare un make-up artist ogni mattina. E nemmeno di venire con i tacchi o con maglie volgarmente scollacciate. Ma tra questo e quegli anonimi jeans, quelle canottierine da scuola cattolica e le infradito sdrucite, credo si possa trovare una sintesi accettabile, non credi?

Lo so, stiamo parlando di frivolezze. Ma se nella vita non si ricercasse, anche solo raramente, il bello, sarebbe una vita grigia, monotona.
Se l'uomo non avesse a cuore l'estetica, la ricerca del bello come fine e non come mezzo, non avremmo nessun quadro da ammirare, ogni singola casa o palazzo sarebbe un anonimo cubo di cemento, vestiremmo tutti con una tunica più o meno corta, possibilmente grigia. E non esisterebbe la musica.
Questo sarebbe il mondo se non avessimo emozioni.
Ma il bello è tale perché è un'emozione. Una macchina non può capire cosa è bello e cosa non lo è perché la bellezza non è un algoritmo, non è una matrice di parametri che, se rispettata, rende qualcosa più o meno bello.
Certo, ci sono regole, linee guida, talvolta l'esperienza. Ma la bellezza è qualcosa di emotivo, non di logico.
E non capisco quindi perché, almeno una volta ogni tanto, tu non possa vestirti decentemente, guardarti allo specchio ed ammirare la tua bellezza, poca o tanta che sia. Non per il tuo compagno, per i tuoi colleghi o per i tuoi amici su Facebook. No, solo e soltanto per te stessa.

Comprendo che questo ufficio, probabilmente, non ne valga la pena. Che il tuo impegno sia riservato per occasioni ben più mondane e, se vuoi, soddisfacenti. Ma se mai hai avuto la voglia di venire a lavorare "tirandoti" anche solo con un dettaglio, forse questo non è l'ambiente in cui vorresti lavorare. Ed in cui dovresti passare 8 ore ogni santissimo giorno.
Perché io penso che l'unico motivo di questo tuo modo di vestire sciatto ed anonimo è perché non ti senti valorizzata, nel tuo lavoro quotidiano, da colleghi e superiori.
E non è un bel modo di vivere.
Spesso dalle tue parole sento chiaramente trasparire questo sentimento di insoddisfazione, di frustrazione.  Credi di non avere altra scelta. Io invece credo che tu debba metterti davanti ad uno specchio, non importa come sei vestita, e vedere le tre strade che hai di fronte.
Davanti a te la strada è dritta, con te che continui a digitare furiosamente su quella tastiera senza trovare gioia in quello che fai.
A destra c'è una strada tortuosa, buia, forse pericolosa. Quella che ti porta lontano da questo posto, verso occasioni che ora non vedi ma che ti farebbero, forse, più felice.
E poi c'è la strada a sinistra, dove pretendi rispetto e valorizzazione per il lavoro che fai, ti vesti ogni tanto per piacerti quel tanto che basta per sentirti ancora attraente.

Non perché donna, uomo, bella o brutto. No. Semplicemente perché lo devi a te stessa.

Un abbraccio.

mercoledì 21 settembre 2016

Buon senso

Ora, non è mia intenzione fare sciacallaggio su gente morta. Quindi non farò nomi e, anche se i riferimenti saranno chiari, non prenderò esempi tragici per spiegare il mio pensiero.

Questa è (era) la residenza di Barbara Streisand. Perché la metto qui? Lo scoprirai più avanti.

Il problema di oggi è la diffusione online di roba che non solo dovrebbe rimanere privata ma che, probabilmente, nemmeno dovrebbe essere creata.
Il consiglio più sensato che sentii dire (perdonami, ma non ricordo l'autore) è che non dovresti MAI scrivere, fotografare o riprendere qualcosa che non vorresti che tua nonna vedesse. Non pensare che che per il solo fatto di tenerlo custodito nel tuo smartphone o sul tuo PC qualcosa possa rimanere riservato. E non credere che nascondendosi nell'anonimato, prima o poi qualcuno possa risalire a te.
Non c'è verso, la tecnologia è molto più forte di tutti noi.

Decenni fa, se facevi una cazzata, di qualsiasi tipo, la cosa rimaneva tra te e pochi altri testimoni. Magari te la passavi un po' male per via delle chiacchiere di paese, ma dopo un po' la gente passava ad altro e la cosa cadeva nel dimenticatoio. E, soprattutto, le uniche tracce che restavano erano i ricordi incerti di chi aveva assistito.

Oggi, qualsiasi cosa succeda, tre minuti dopo c'è un video su YouTube, la news su ANSA e migliaia di like e retweet. Non c'è scampo. Solo i complottisti possono immaginare che l'allunaggio sia una farsa montata ad arte grazie al coinvolgimento di centinaia di migliaia di persone e che ognuna abbia tenuto il segreto, quando è sotto gli occhi di tutti che nessuno è in grado di tenere segreto neppure il proprio cesso.

Ho preso l'unica pixxellata. Ma non è difficile trovare ben di peggio.

Non sto parlando di cosa è giusto e cosa no, sia chiaro. Diffondere, o anche solo alimentare il clamore, su fatti evidentemente privati e spesso dolorosi è sbagliato, ingiusto e quasi sicuramente illegale.
E' una cosa simile alle violenze sessuali, quando i ben pensanti sostengono che si, stuprare è sbagliato, ma anche lei a mettersi la minigonna...
Ora, nessuno mette in dubbio che la violenza (contro una donna, uomo o bambino, con i vari livelli di gravità) sia odiosa e criminale, ma ogni evento va anche contestualizzato. Ognuno è libero di vestirsi come vuole, questo è innegabile, e nessuno deve avere il diritto anche solo di pensare che un determinato outfit possa giustificare alcunché.
Ma è anche vero che se giro per Harlem con un cartello con su scritto "Odio i Neri", non posso certo lamentarmi con la società se persone di colore evidentemente un po' stressate non la prendono bene.

Il cartello originale era pure più razzista.

Un discorso simile va fatto per tutto ciò che scriviamo, diciamo, registriamo, fotografiamo. Macchine fotografiche, videocamere, stampanti, è tutto roba disponibile a bassi costi da decenni. Ed anche internet, nonostante possa sembrare strano, permette di caricare qualsiasi documento online da sempre.
Ciò che è cambiato  è che condividere qualcosa online è questione di minuti e pochi tap, quando anni fa necessitava di acquisire, trasferire, convertire, pubblicare, spesso con la necessità di conoscenze tecniche non proprio alla portata di chiunque.
Oggi registri un video e lo carichi su YouTube con due gesti, poi lo condividi su Facebook e tutti lo possono vedere. Ed una volta che qualcosa è registrato su supporto elettronico, puoi star certo che prima o poi, in un modo o nell'altro, verrà fuori. E spesso nel momento meno opportuno.

Che sia per un ex geloso/a, per un banale errore (volevi mandarla al tuo partner, invece la metti in bacheca), per uno scherzo stupido di un amico o per "l'intrusione di un hacker" (metto tra virgolette perché di solito questo hacker o è un tredicenne che ha trovato la tua password per caso, o è una scusa per coprire il tuo banale errore di cui sopra), qualcosa che hai registrato potrebbe finire nelle mani di qualcun'altro e da lì in poi non sarà più sotto il tuo controllo, nemmeno se ti rivolgi alla polizia, alla giustizia, all'FBI, Esercito, CIA o Babbo Natale.
Al contrario, cercare di chiudere il recinto quando non solo i buoi ma anche i maiali, le capre, le galline e pure tua moglie, sono scappati, è ancora peggio. Parlo del famigerato Effetto Streisand: vorresti eliminare qualsiasi traccia dei tuoi "misfatti" (che magari è solo una foto del tuo inguine) "chiedendo che si dia inizio all'azione penale contro chiunque risulti concorrente di tutti i reati perseguibili e cioè della pubblicazione e distribuzione delle foto". 
Ora, ragazza mia, io comprendo che tu ti senta violata nella tua intimità, che ogni volta che scatterai una foto o che solo prenderai in mano il tuo telefono, un brivido ti scorrerà sulla schiena. E comprendo anche benissimo che cercare di combattere questa situazione ti fa stare leggermente meglio. Ma devi capire che, così facendo, non farai che rendere ancora più di pubblico dominio tutta la storia. La vicenda si amplificherà, molta più gente andrà morbosamente alla ricerca delle tue foto. Con il rischio che, se prima le vedevano qualche migliaio di persone frequentanti siti non proprio onesti, dopo le vede anche la casalinga di Bressanone tua vicina di casa.
E Dio non voglia che la denuncia vada avanti, o tra 2-3 anni ti troverai nuovamente ad affrontare tutto questo. Ancora. Ed ancora.

Ancora. Ed ancora. Ed ancora. Ed ancora...

Lo so, fa male, ma il modo migliore per affrontare questa cosa è lasciar perdere. Dovrai conviverci, probabilmente per il resto della tua vita, come se avessi perso un braccio in una mietitrebbia. Nessuno potrà dartelo indietro.

E' giusto? Ovviamente no, così come non è giusto che io porti un cartello razzista e venga ucciso a colpi di spranga. Ti sembrerà strano, ma il mondo è ingiusto e sarebbe alquanto stupido non cercare di sopravvivere non prendendone atto. Registrare un video o scattare una foto è questione di pochi secondi, ma quel video rimarrà nella rete per sempre

Davvero vorresti che i tuoi nonni (o i tuoi nipoti) lo vedessero?

lunedì 19 settembre 2016

Lungimiranza

Ieri si è disputato il decimo round del Mondiale Superbike 2016.
Come avrai capito dall'immagine di apertura, pioveva.

Gara 1 si è corsa come al solito (da quest'anno) al sabato, mentre gara 2, disputata il giorno dopo, è stata sospesa prima della partenza, poi è stato fatto un'altro warm-up lap, poi è stata sospesa ed infine è ripartita con meno giri da completare. Tutto questo a causa della pioggia.
Alcuni piloti si lamentavano perché sgommavano anche sul dritto (Hayden), cosa piuttosto normale quando piloti una moto da 230cv su una pista mezza allagata.
Altri erano intimoriti dall'eccessiva quantità di acqua sollevata dalle moto, che rendeva la visibilità nulla e riportava alla mente tragici incidenti non ignorabili.

Correre a settembre in Germania e sperare che non piova equivale a giocare alla roulette russa con una pistola automatica.

I volponi dell'organizzazione hanno stilato un calendario idiosincratico: hanno fatto tre gare di maggio per poi organizzarne solo due tra giugno e luglio, con i motori fermi più di 2 mesi (appunto da gara 2 di Laguna Seca, il 10 di luglio) per poi ripartire con due round europei a forte rischio maltempo (Germania, appunto, e Francia) in settembre e terminare il calendario con le due tappe di ottobre in Spagna e Qatar.

Io capisco che cerchino di fare le gare quando prevedono ci sia la maggior affluenza di pubblico, ma dubito fortemente che la gente assista volentieri ad uno spettacolo come quello di ieri. Tolto che, molto spesso, chi va alle gare SBK ci va in moto e non è granché contento di prendersi secchiate d'acqua dai tir per andare e tornare dal circuito.
E poi, parliamoci chiaro, le gare sull'asciutto sono molto più appassionanti, i piloti rischiano meno di cadere e spaccarsi qualche osso (Giuliano?) ed i valori in campo sono quelli reali, non quelli dettati dal livello di incoscienza di ognuno.

Senza contare che, con due mesi di fermo, l'appeal e l'interesse nel Campionato non possono che calare. Io che seguo le gare abbastanza assiduamente, quasi non ricordavo come stava messa la classifica. Non è certo questo il modo per rendere appetibile una classe che sta perdendo pezzi e seguito.
Non vorrei fare il complottista, ma sembra quasi che Dorna, dopo aver comprato il Campionato SBK (tramite Bridgepoint), stia facendo di tutto per sabotarlo. O, come vorrebbero alcune voci, per accorparlo al mondiale MotoGP.

Forse Ezpeleta è effettivamente lungimirante.

venerdì 16 settembre 2016

Il costo del rispetto


Una foto sfocata, probabilmente il frame di una ripresa video, un particolare sfuggito a quasi tutti. Un campo da football, uomini corazzati da armature in plastica e muscoli d'acciaio. Ed uno solo, di quegli uomini, seduto.
In questo post non si parla di sport, anche se si parla di sport.
In questo post parlo di rispetto.

Il numero 7 in maglia rossa è Colin Rand Kaepernick, quarterback dei San Francisco 49ers. Ed è seduto non perché stanco o infortunato, ma in segno di protesta.
Mi chiederai che protesta sia stare seduti ed è proprio qui che la storia si fa complicata.

Milwaukee, Wisconsin. Patria dei Blues Brother e di Fonzie (quello vero, non il nostro sovrappeso Presidente). Non sarebbe un brutto posto dove nascere, tranne che se tua madre, appena maggiorenne e senza un soldo, viene abbandonata da tuo padre prima che tu nasca. Lei bianca, lui nero. Nei tuoi geni è già presente tutta la contraddizione di un paese che adora gli afroamericani come dei del campo da football, sempre che abbiano evitato da giovani i poliziotti dal grilletto facile.
Kaep, come viene soprannominato adesso, viene adottato da una coppia appena nato e passa la sua infanzia in Wisconsin. Anche questo non è un brutto posto dove passare le vacanze, ma d'estate si superano i 40° e d'inverno si scende ben sotto i -20°. Ancora contraddizioni.
Colin cresce velocemente, è alto, grosso, veloce ed intelligente. Eccelle in ogni sport, è il tipo d'uomo che potrebbe fare qualsiasi cosa con il suo fisico. Ovviamente sceglie il football.
Non sto a farti la cronistoria della sua carriera, gente molto più esperta e brava di me ha scritto fiumi di inchiostro su di lui. Ti basti sapere che al suo secondo anno, entrando come sostituto del QB titolare Alex Smith, ha trascinato i 49ers al SuperBowl, poi perso per appena 3 punti. Kaep era il simbolo di quella squadra, di quella città e di tutto il Paese. L'ennesima storia di uno nato nelle peggiori circostanze che giunge ad un passo da sogno.

Oggi Kaepernick è in un baratro profondo. La carriera sportiva, dopo quel SuperBowl, è andata in calando, come una candela bruciata troppo in fretta. Ha perso il posto da titolare, la fiducia del nuovo allenatore e, probabilmente, anche della dirigenza. E' vero, ha un contratto fino al 2020 di 12-15 milioni di $ l'anno, ma la situazione non è per nulla rosea.
Colin lo sa benissimo, ma durante l'inno nazionale in una normalissima partita di preseason (un'amichevole, in pratica), non si alza. Comprende che, nella situazione in cui si trova, sta rischiando il suo futuro sportivo e personale. Non una parola, non un gesto eclatante. Semplicemente resta seduto al suo posto, fino a che l'ultima lunga nota di Star Spangled Banner non sfuma nell'applauso dello stadio.
Il gesto è così silenzioso e minimalista che solo un giornalista, accortosi della cosa, ne chiede lumi allo stesso Kaepernick, nella conferenza stampa dopo-partita. Ed è in quel momento che la cosa assume toni apocalittici per l'opinione pubblica americana.
Kaepernick conferma che non si è alzato durante l'inno poiché non può rispettare la bandiera di un paese che opprime i suoi fratelli neri solo per il fatto che sono neri.

La storia finisce di essere sportiva e diventa politica. Gli Stati Uniti si dividono nelle loro contraddizioni in fatto di censo, razza e diritti. Una parte lo accusa di non avere rispetto per tutti coloro che sono morti per quella bandiera, per le loro libertà. Altri lo sostengono per le sue posizioni contro quella che sta mediaticamente diventando un massacro di giovani neri.

Contraddizioni

Visto da questa parte dell'oceano, la questione sembra fin troppo semplice. Ma per gli americani l'inno è qualcosa di sacro. Ed a questo punto è necessaria un po' di storia. Il nostro inno, ad esempio, richiama a valori di unità, di patria, di storia. L'inno americano è invece dedicato alla loro bandiera. Perché gli Stati Uniti hanno una storia breve, non hanno un passato al quale richiamarsi, l'unica cosa che li unisce è appunto la loro bandiera. E non alzarsi durante l'inno equivale a non rispettare l'intero Paese. 
La loro bandiera e di conseguenza il loro inno è qualcosa di così connaturato nella loro cultura che difficilmente noi europei riusciamo a comprenderlo. Se guardata con attenzione, troverete l'immagine della bandiera a stelle e strisce ovunque, nei caschi, nelle maglie, sui tabelloni dei canestri, nelle spatole per girare gli hamburger. In certi stati, non avere la bandiera che sventola nel giardino davanti casa è peggio che essere segnalati come molestatori sessuali.


La risposta migliore a tutto questo clamore mediatico l'ha data infine un veterano di guerra. Non una persona famosa o influente, ma un semplice combattente. Ha risposto a chi gli chiedeva il suo parere da veterano sulla vicenda con un lungo post sulla sua bacheca che si riassume in due concetti piuttosto semplici.
Il primo è che il rispetto va guadagnato e mantenuto tale. Non si può obbligare qualcuno a portarti rispetto, o ciò che si otterrà sarà solo minor rispetto. Se Kaepernick non prova rispetto per il suo paese perché sente che non stia facendo abbastanza per la sua gente, è giusto che possa dirlo silenziosamente.
E questo è il secondo punto: tutti i veterani che hanno combattuto, tutti i giovani che sono morti, l'hanno fatto proprio per dare a lui la libertà di esternare il suo pensiero, che si può o meno essere in accordo, ma lui dovrà avere la possibilità di dirlo.

Questa è una differenza sottile tra il nostro modo di pensare una nazione ed il loro. Noi pensiamo che lo Stato dovrebbe darci il diritto di fare qualcosa, loro pensano alla libertà di comportarsi come credono. 

Il loro è il Paese più ipocrita del mondo, eppure è proprio su questa ipocrisia che si regge tutto il sistema. Ma non appena qualcuno incrina questa certezza diventa come un pettine che raccoglie tutti i nodi.
Tutti sanno che la violenza genera violenza, che ci sono interi quartieri dove crescere senza entrare in una gang è semplicemente impensabile, dove la polizia è talmente nevrotica da reagire con l'estrema violenza delle armi anche in situazioni ove non sarebbe necessaria. Ma pur di non comprimere una libertà per loro fondamentale (il possesso delle armi), preferiscono guardare dall'altra parte. E' in questa situazione che coloro che ne hanno la possibilità, stanno cercando di fare qualcosa affinché l'opinione pubblica lentamente ripensi alle proprie posizioni.

Carmelo Anthony, Chris Paul, Dwayne Wade e LeBron James.

Kaepernick non è stato il primo e non è stato l'ultimo. Pochi mesi prima di lui quattro tra i più famosi cestisti ha sostenuto un discorso toccante e accorato affinché le cose cambino. E prima di loro furono le Pantere Nere alle Olimpiadi del Messico (tra l'altro imitate pochi giorni fa da colleghi di Colin), Muhammad Ali prima di loro, e da tanti altri sportivi più o meno famosi.

Perché l'america bianca e repubblicana non vede di buon occhio gli afroamericani, se non quando giocano a football, a basket o vincono medaglie d'oro. E proprio loro hanno la possibilità e l'opportunità di cambiare le cose. 
Anche non portando rispetto al proprio Paese.

giovedì 15 settembre 2016

Los Angeles Lakers 2016 Preview


L'immagine di apertura non poteva che essere dedicata a lui, Kobe Bean Bryant (e se volete sapere il motivo di quel Bean [fagiolo] dovreste studiarvi la biografia del padre, o almeno il suo soprannome), detto Black Mamba (che per inciso è verde).
Dopo 20 anni, 1346 partite e 33643 punti, il buon vecchio Kobe ha appeso l'ossessione al chiodo e lasciato spazio e maglia (ma deduco non il numero) a giovani virgulti, incaricandoli di risollevare le sorti della scalcinata franchigia che sono diventati i Los Angeles Lakers.
Per la prima volta nella storia della NBA, infatti, i Lakers non sono approdati ai Play Off per tre anni di seguito. Inutile starne ad elencare i motivi (la storia in breve: la dirigenza ha puntato tutto su fenomeni sul viale del tramonto o giovani in fase calante, venendo puniti dagli infortuni), preferisco guardare al presente e soprattutto al futuro, vedere cosa c'è di buono e capire a cosa aspirare in questa imminente stagione.

Staff tecnico
Luke Walton, figlio d'arte sul campo e secondo in comando della rivoluzione Warriors, ha seguito il cuore (ed il portafoglio, probabilmente) per tornare nella città che lo ha visto dominare la panchina per anni. Ha condotto i Dubs all'avvio record, lo scorso anno, con Kerr fuori per infortunio (si, più o meno), ma i dubbi su quanto sia suo il merito e quanto di Steve restano. Ma Luke è un uomo intelligente ed ha approcciato la sfida con astuzia. Da lui tutti si aspettano che trasformi i Lakers in emuli di Golden State, ma molto dipenderà dall'attitudine del roster (anche se qualche indizio in tal senso è già stato fornito). In tutti i casi Walton è giovane (2 anni meno di Bryant, per dire), ha sempre avuto un'ottima comprensione del Gioco e di sicuro conosce bene l'ambiente di L.A., che può sì essere divertente e scintillante, ma anche stritolarti se non presti attenzione.

Si, mi riferivo a te...

Walton ha intuito di aver bisogno di un coach d'esperienza per gestire una squadra così complicata e lo ha trovato in Brian Shaw, anch'egli ex giocatore per il Lakers ed appena uscito dall'esperienza come capo allenatore a Denver. Accanto a loro altri assistenti, molti di essi legati in passato ai Lakers. Sembra dunque che l'indirizzo della dirigenza sia quello di portare figure che incarnano la filosofia della franchigia e che possano inserirla nel DNA del giovane roster. Le scelte fin qui fatte, sono state le migliori dalla firma di Pau Gasol nel 2007.

Guardie
Jordan Clarkson e D'Angelo Russel (autonominatisi "Swag Brothers") rappresentano il primo una scommessa per lo più vinta, il secondo l'all-in di una squadra che ormai ha poco da perdere.
Clarkson è una combo-guard scelta alla fine del secondo giro due anni fa, un vero e proprio steal nonostante abbia ancora tanto da dimostrare. Ha atletismo, buone doti di passatore e un tiro da tre piuttosto affidabile (tra alti e bassi stagionali). Il ball-handling è migliorato costantemente, ma la gestione del pick&roll è molto rudimentale. Non ho numeri sotto mano, ma lo vedo molto più efficiente in situazioni di catch&shot. Situazioni guarda caso spesso presenti nello small-ball di Kerr e, speriamo, anche in quello di Walton. Molto hype in estate, alimentato dai continui video dove lo si vede tirare più o meno da centro campo con canestri a ripetizione. Non male anche nell'attacco al ferro e nel tiro dalla media. Un attaccante a tutto tondo, dunque, ma con evidenti limiti difensivi. Viene sempre tagliato fuori dal bloccante e, nonostante l'elevata velocità, difficilmente riesce nel recupero. Non malaccio a rimbalzo, grazie alle doti di elevazione, ma rimane sotto la media.
Russel, invece, è più adatto al ruolo di PG, dato il fisico meno esplosivo (ma attenzione, quest'estate pare aver lavorato molto ed alla Summer League sembrava messo molto bene). Compensa con migliori doti intellettive, sia come passatore (a tratti divino) che nel p&r, molto efficiente lo scorso anno con Nance e Black (per fortuna entrambi confermati, ma ne parleremo dopo). Ottimo anche nel tiro da tre e saltuariamente in penetrazione (appoggia a tabellone molto bene). Migliorabile in difesa, ma ci sono indizi positivi in tal senso. Chiaramente rimane la testa il suo grosso problema. E' arrivato a L.A. a 19 anni ed ha dimostrato meno della sua età (vedasi Nick Young). Scott non è riuscito nello steso intento con cui ha plasmato la mentalità di Clarkson (pare che Scott non sia proprio l'ideale per allenare i rookie), ma speriamo che giocare accanto a gente di un certo tipo (vedi Deng, poco sotto) possa migliorare questo aspetto.

Never Forget.

Ali
Nello spot di ala piccola dovrebbe partire Luol Deng, arrivato dalla free agency con un contratto faraonico e soprattutto lunghissimo, e soprattutto con enormi interrogativi sulla tendenza della sua carriera. A Miami dicono sia finito, ma Deng ha in tutti i casi molte frecce al suo arco. Sopra tutte la grande etica, del lavoro e della vita (vedi fondazioni benefiche fondate, ecc...), ed anche l'enorme esperienza in squadre da titolo. Da un punto di vista tecnico, è un giocatore abbastanza completo, capace di difendere su più posizioni e di attaccare con continuità. Non è un grande rimbalzista, è vero, ma ha comunque un net-rating di +7 (lo scorso anno). Chi storce il naso per il quadriennale, deve però pensare in prospettiva dell'ulteriore aumento del cap che avverrà l'anno prossimo. Però si, terminerà il contratto a 35 anni.
Come power forward è invece confermato Julius Randle. Sfortunata prima scelta del 2014 (si è rotto la tibia dopo appena 15 minuti di gioco di regular season), Julius ha un fisico straripante, ottime doti di rimbalzista (che verranno comode accanto a Deng) e un tiro in sospensione decente. Purtroppo finisce tutto qui. Il p'n'r è inesistente, il gioco in post (nonostante il fisico) è del tutto acerbo ed il tiro è si appena sufficiente, ma non affidabile. Quest'anno deve confermare le potenzialità, dopo il suo vero primo anno da rookie, e soprattutto mostrare indizi di evoluzione, o resterà nulla più di un ottimo fisico scolpito.

"Possiedo cose che voi umani..."

Centro
Altro contrattone per il russo Timofey Mozgov, anche per lui un quadriennale da capogiro. La sua esperienza e le capacità di intimidire sotto canestro saranno utili, il gioco in post è sufficiente, ma se continuiamo il paragone con GS, non ha un decimo della visione di gioco di Bogut (ha una media di mezzo assist a partita in carriera...). Per lo meno, come ogni europeo che si rispetti, non soffre dalla lunetta e la sua eFG% è nella media. I più hanno accusato i Lakers di essersi mossi troppo presto e aver offerto troppi soldi per un giocatore poco più che mediocre. Forse è vero, ma la necessità era avere un centro affidabile, serio e di esperienza che apra la strada ai giovani panchinari (tra i quali un altro europeo di provenienza sovietica, guarda caso). E come rim-protector non è malaccio.

La Panchina
Sul pino sederanno rookie e giocatori di esperienza, ben shakerati. La seconda scelta assoluta Brandon Ingram è un'ala piccola da quasi tutti (tifosi e non) accostato a Kevin Durant. Fisico esile, è vero, ma grande tiro e braccia lunghe a intasare le linee di passaggio. A tratti ho sperato che Ben Simmons (la prima scelta poi andata a Philadelphia) fosse passato, ma più ci penso e più Ingram è la scelta giusta nel nostro contesto. E' un difensore migliore, un tiratore migliore e non ha necessità di maneggiare la palla. Simmons si sarebbe scontrato con JR e DLo, e qualcuno sarebbe dovuto andar via. Dovrà metter su qualche chilo di muscoli (ma non troppi) ed abituarsi alle sportellate della NBA, ma le aspettative sono molto alte. E poi è un bravo ragazzo.

Una foto pubblicata da Brandon X. Ingram (@1ngram4) in data:

L'altro rookie è Ivica Zubac, croato 19enne a tratti enigmatico. E' un centro di un certo peso (216cm e 120Kg), in Summer League ha dominato nel pitturato con stoppate a ripetizione. Arriva sostanzialmente gratis, ma i fan si aspettano molto (forse memori dell'exploit di Porzingis). Io lo vedo come un ragazzone cresciuto troppo in fretta, un centro atipico, forse vecchia scuola, ma promettente. Avrà minuti se perderemo tante partite, ma davanti a lui c'è anche Tarik Black, il classico centro grande e grosso, non ha grandi margini di miglioramento, ma il gioco in pick&roll è piuttosto buono e anche la mobilità non è male. Ovviamente gli va impedito di tirare a canestro, ma quando serve fisicità in campo, è un buon elemento.

E poi non ha il collo...

Discorso ben diverso per Larry Nance, Jr. Ennesimo figlio d'arte (ho perso il conto), è stata la grande sorpresa (capisci per cosa devo gioire?) del 2015. Ala forte (ma IMHO potrebbe giocare pure da stretch-4) con ottimi livelli di intelletto cestistico, un tiro con i piedi a terra fenomenale e ottimo propensione come rollante (il fatto che sia nativo di Akron, così come due che forse avete già sentito nominare, aiuta). Ho la sensazione che sarà tra i più propensi al sistema small (sempre che tale sia l'obiettivo di Ker....ehm, Walton). Nella Summer League, Nance è sembrato dominare letteralmente tutti nel proprio pitturato, è evidente come sia di un altro livello.
Nello spot di ala piccola, oltre a Ingram, c'è affollamento. Tolto Nick Young, che dubito scenderà in campo dato il Russell-gate (pare che ogni volta che D'Angelo entri in una stanza, tutti si affrettino a nascondere i cellulari), c'è l'enigma Anthony Brown, ottime doti da difensore ma in attacco semplicemente non è un fattore (ma se dovesse migliorare, sarebbe una gran presa - lo scorso anno, il differenziale con lui in campo è stato di +7.8), poi il cinese Jianlian Yi, arrivato con un contratto cosiddetto "creativo", con già un passato non proprio esaltante in NBA, ed infine Zach Auguste, undrafted che tanto male non ha fatto in Summer League (immagino una destinazione in D-League, per lui).

Tipo, se Antonio giocasse sempre così...

Lou Williams, arrivato come SMOY, porterà punti ed esperienza, soprattutto nei finali punto a punto. Spero che Lou se ne vada, perché merita molto più di una squadra ai minimi termini come questi Lakers. Ma finché il contratto sarà valido, non posso che  gioire per avere uno come lui in squadra. Purtroppo è uno che preferisce più avere la palla in mano che dettare il passaggio, quindi il suo rendimento in un sistema più collettivo è un po' un'incognita. Discorso opposto per Jose Calderon e Marcelino Huertas: giocatori abbastanza simili, entrambi di scuola europea (anche se Huertas è brasiliano), non grandi atleti (ad esser buoni) e senza margini di miglioramento, ma di sicuro di grandissima esperienza anche ad alti livelli ed in diversi sistemi, più o meno organizzati. Ipotizzo quintetti con Russell come PG e uno di loro in regia, per alcuni tratti di partita, se il binomio con Clarkson non dovesse decollare.

Aspettative
Inutile pensare ai Play Off (ma i miracoli accadono), soprattutto in un Ovest così competitivo. L'obiettivo è migliorare le ultime stagioni, quanto a record: un target un po' povero, lo ammetto, ma di questo dobbiamo accontentarci. La cosa importante sarà sviluppare i giocatori sia come singoli che come gruppo, capire se Walton ha la stoffa dell'allenatore e se è capace di infondere la propria visione nei giovani, se gli "anziani" sapranno dare il contributo in campo e fuori. E chissà, se magari tra qualche anno, queste radici avranno fatto presa nel parquet dello Staples o se ci troveremo ancora a rimpiangere lui...

Mamba out, Obama Out.