domenica 5 marzo 2017

Andare in moto



Ecco, andare in moto da le stesse sensazioni che ho provato guardando questa scena al cinema.
La moto è libertà di muoversi, di spostarsi. E' velocità, accelerazione, agilità. E' sentire quell'ammasso di acciaio ed alluminio fra le gambe ed essere fuso con esso, in un unico essere.

L'automobile ti trasporta, ti coccola, ti protegge. In cambio ti chiede di viaggiare come sui binari, con poche decine di centimetri da un lato e  dall'altro in cui poterti muovere sulla strada. La velocità arriva con calma, devi essere paziente in curva per assecondare i suoi voleri.

In moto tutto è diverso. Veloce. Sei sull'ultimo gradino di una scala appoggiata su un'impalcatura montata sopra la piramide alimentare del traffico. Sei il predatore del T-Rex.
Difficilmente troverai qualcuno più veloce di te, a meno che non sia della tua stessa razza. E per questo devi comportarti come un re saggio, che sa quando avere il pugno duro sui suoi sudditi e quando essere compassionevole.

In cambio sei libero. Tutto accade con estrema lentezza, anche se a velocità più alta di qualsiasi auto. Puoi osservare la strada, larga cinque volte te. Puoi scegliere la tua traiettoria, dosare la frenata sentendo muoversi sotto di te le sospensioni, il peso che aumenta la pressione sui palmi ed il mondo che si inclina sotto le gomme calde ed appiccicose. Non puoi rimanere immobile, perché la tua compagna, là sotto, non gradisce che tu sia un corpo estraneo. Devi aiutarla a scendere, devi spostare il tuo peso a seconda delle necessità, appenderti quasi innaturalmente fuori della sua sagoma ed avvicinarti alla superficie rovente e granulosa dell'asfalto.
Il tuo sguardo è puntato lontano. La curva sembra non finire mai. Ma dentro di te l'attesa è spasmodica. Non appena arriva il momento giusto, lo capisci immediatamente. Come quando incontri la donna della tua vita, che non sai perché ti piace, ma sai che è bellissima. Ecco, in quel momento sai che devi muovere il tuo polso destro e scatenare tutto ciò che anni di studio e milioni di euro (o miliardi di yen, nel peggiore dei casi) hanno perfezionato fino all'inverosimile: il tuo motore.
I battiti ed i giri aumentano all'unisono, con uno scatto felino cerchi il maggior appoggio possibile da un gomma posteriore schiacciata e deformata, mentre la spinta inesorabile ed il suono elettrizzante ti spingono in una dimensione differente da quella dei comuni ed automuniti mortali.


Un gruppo di smanettoni sul passo

Spesso si usa il termine "snocciolare le marce". Ma in realtà la sensazione è più quella di un soldato che cambia il caricatore al suo mitragliatore. Ogni volta che il divertimento pare sul punto di finire, basta un clank e tutto ricomincia.
Sul display luminoso (o per i più nostalgici, una perigliosa lancetta) appaiono valori piuttosto insensati, quasi sempre a tre cifre. I numeri cambiano così velocemente che non riesci a stargli dietro. E comunque non sarebbe opportuno. E' l'unico momento in cui puoi respirare. Prima di ricominciare tutto. Ancora. Ed ancora.

Ma non sempre occorre andare veloce. Anche a velocità normali (che poi, cosa significa "normale"?) tutto questo è ancora vero. Anzi, forse lo è ancora di più. Perché in quei rari momenti puoi goderti tutte quelle sensazioni che di solito sono sopraffatte dall'adrenalina. Le vibrazioni piacevoli, le sospensioni che lavorano, la meccanica che ruota, spinge, tira, aspira ed espelle. Se presti attenzione puoi sentire il rumore delle valvole, della catena, degli scoppi regolari o irregolari. Puoi decidere se stare al centro della strada, puoi evitare le inevitabili buche, puoi schivare auto, scooter, viandanti ed animali come uno sciatore tra i paletti di uno slalom gigante.

Andare in moto è libertà di guidare, per davvero, non di essere trasportati, limitati, guidati.
La moto non è un mezzo di trasporto.
E' un mezzo di vita.

venerdì 3 marzo 2017

E' morto un uomo

Fatto ordinario, dirai. Ed è vero. Ogni giorno sono centinaia di migliaia le persone che muoiono. Tanti per tragici incidenti, altri per omicidi, altri ancora per malattie. E alcuni si tolgono volontariamente la vita, sopraffatti dalla depressione e da un mondo che non è capace di aiutarli.
Ma l'uomo che ieri è morto è diverso da quasi tutti gli altri. Perché non era un uomo libero, nemmeno di morire. Era schiavo del suo stesso corpo inerme. Della sfortuna, anche, del fato che lo aveva legato ad un letto.
La sua volontà è stata rispettata, alla fine. E forse questo avrà delle conseguenze su chi gli era accanto.
Per alcuni è facile pensare che quella sia la soluzione migliore e che lo Stato debba essere obbligato a rispettare la decisione che ha preso.
Ma se già è difficile scegliere un panino al McDonald's, come può esserlo scegliere di morire?

Ogni persona è attaccata alla propria vita, perché è la sola cosa che possediamo veramente. Tutto il resto è un dono della vita stessa, dalle emozioni alle cose che ci circondano e di cui amiamo circondarci. E la vita è l'unica cosa di cui non possiamo fare a meno. Arrivare al punto in cui l'unico nostro desiderio è di perderla equivale a dichiarare il fallimento della nostra coscienza.

Lui ha scelto di mollare, soverchiato da una vita troppo dura, dal non poter più essere ciò che era, perché era ciò che faceva, non ciò che pensava, provava, donava attraverso la sua esistenza. Non ha scelto la strada più facile, come in molti hanno declamato con spregio. Perché ha reso la sua scelta, la sua volontà, pubblica, mediatica. Ha voluto, col suo ultimo gesto, diventare molto più di un inerme corpo.

Ma non pensare che tutti siano così. Non per tutti la vita è solo ciò che facciamo.


Io non so cosa farei, se fossi nei suoi panni. Perché vedere scorrere la vita attorno a me, senza poterla toccare, gravando su chi mi sta intorno di un peso che ti trascina a fondo, forse tanto vita non è.

Spesso si usa il verbo "andarsene". Ma morire è altra cosa. Perché non vai da nessuna parte, dopo.
Semplicemente non esisti più. E non amerai, non soffrirai, non avrai più fame o sete, freddo o caldo. Non riderai più di una battuta e non piangerai per una sconfitta. Non parlerai, non ascolterai più la voce dei tuoi cari.
Non penserai.
E da quel momento, solo da quell'istante, non vivrai più.

Lui è arrivato a quel momento dopo aver perso l'ultima cosa che rimane, la speranza.
La medicina fa ogni giorni passi da gigante. Curiamo malattie e traumi che solo pochi decenni fa erano mortali. La domanda, dunque è se domani trovassero una cura? Se domani lui avesse potuto tornare quello che era? O forse non la troveranno mai, lasciando migliaia di persone nell'illusione della speranza.

Non so se avrei il coraggio di morire come quell'uomo.
Ma so che ho il coraggio di vivere la mia vita più di quanto l'abbia fatto fino ad oggi.