giovedì 5 luglio 2018

ll Re fra gli Angeli


Perché sprecare altre parole per descrivere un avvenimento a dir poco epocale (per lo meno per la NBA) come il passaggio di LeBron James ai Los Angeles Lakers?
Cosa potrei aggiungere a tutte quelle disamine tecniche (e non) di penne (o per meglio dire tastiere) ben più informate, esperte e, francamente, intelligenti di me?

Beh, è presto detto. Le mie emozioni.
Perché in fondo lo sport è emozione e nessun inviato, accreditato o insider può sapere cosa prova un tifoso. Soprattutto non può sapere cosa provo IO.

Accanto all'ovvio entusiasmo ed alla consapevolezza di essere tornati nel basket che conta, esistono anche sentimenti meno ottimisti. L'esperienza (alcuni direbbero l'età) è una brutta bestia, perché si tende sempre ad aspettarsi dal futuro ciò che si è sperimentato nel passato, quando invece ogni situazione, ogni evento è cosa a sé.

James è tra i migliori due giocatori di basket di sempre. Forse tra i migliori uno. Arriva a L.A. dopo la sua migliore stagione (o quasi) e dopo aver portato alle Finals un roster di clochard. Lascia Cleveland dopo aver adempiuto alla sua missione ma anche dopo aver capito che la sua legacy aveva bisogno di un luogo migliore dove assurgere alle vette a cui aspira.

La scelta di James non è stata facile e, in gran parte, non è legata al gioco: lascia la costa est, dove ha dominato per 15 anni, raggiungendo 8 Finals consecutive (con due squadre) e tre anelli. Lascia la sua città, i suoi tifosi per abbracciare qualcosa che, per la prima volta, è più grande di lui.
Perché i 16 banner appesi al soffitto dello Staples Center, le maglie dei migliori sempre illuminate dai riflettori e, soprattutto, l'eredità del Lakers per eccellenza, il nome che tutti citano ma che tutti temono. E non più per le sue prestazioni in campo.

Kobe firmò il rinnovo a 32 anni, giocando di media 54 gare a stagione nei sei anni successivi ed appena 22 (in totale) nei Playoff (tante quante ne ha giocate James solo QUEST'ANNO), non superando più il secondo turno.

James ha 33 anni ed il suo contratto terminerà quando ne avrà 37.

Storie diverse, condizioni diverse e sopratutto giocatori diversi, è vero. Ma la paura non è un sentimento razionale e si fa strada anche tra il più sfrenato entusiasmo, se riesce a posare il suo germe in un terreno fertile.
Il problema è questo.

James ha dimostrato che, nonostante l'età, è ancora il miglior giocatore sulla piazza, capace di rendere e far rendere a livelli probabilmente mai visti. La storia dice che con James, volenti o nolenti, si fanno i Playoff. I Lakers mancano la post-season da 5 anni, tante volte quanto era accaduto, in totale, in tutta la storia precedente. LeBron arriva in una squadra non certo peggiore dei Cavaliers, ma in una costa (quella Ovest) molto più combattuta, tra i fenomenali Warriors, i letali Rockets, i sempreverdi Spurs e le varie schegge impazzite (Thunders, Blazers, Jazz). Se da solo a Est ha raggiunto le Finals, da solo a Ovest potrebbe non superare il primo turno.

Perché anche il migliore dei Re ha la necessità di una corte al suo livello. Si pensava potesse essere Paul George, in scadenza contrattuale quest'anno, che però ha rifirmato a Oklahoma. Si pensa possa essere Kawhi Leonard, il cui contratto scadrà l'anno prossimo. Quasi certamente non saranno i giocatori appena firmati: McGee, Stephenson, Caldwell-Pope. E nemmeno i giovani che, pur dal potenziale inesplorato, hanno fin qui tentennato.

La dirigenza Lakers ha dimostrato lungimiranza negli ultimi due anni per costruire lo spazio salariale sufficiente a ospitare James ed un'altra stella. Il primo obiettivo è stato raggiunto, il problema sarà come completare il secondo. Non è un problema di soldi, come per quasi tutte le altre squadre, ma di opportunità. Raggiungere Leonard, in aperta rottura con San Antonio, è tutto forché impossibile, ma la merce di scambio è ingente: due, forse tre, giovani e diverse prime scelte future.

Ovviamente James e Leonard, con l'aggiunta di qualche giocatore che sa palleggiare e ogni tanto fa canestro, significa avere sulla carta, una delle migliori coppie both-side di sempre.
Ma anche attorno a Kobe si era formata quella che, sulla carta, doveva essere una squadra di fenomeni: Gasol, Howard, Nash... e poi sappiamo com'è andata a finire.

Storie diverse, giocatori diversi, ma il tarlo del dubbio si insinua con il suo pessimismo. I Lakers pagano ancora oggi gli errori del passato (la scelta scambiata per Nash, i contratti di Deng e Mozgov, ecc...), e scambiare Ball, Ingram, Kuzma e Hart, più molto prime scelte (c'è chi dice addirittura 4), vuol dire legarsi mani e piedi a James e sperare che l'intesa con Leonard funzioni e che questi rinnovi a fine anno. Perché l'alternativa è rimanere con il solo James, senza scelte, senza giovani e senza futuro.

In poche parole, avere Leonard oggi significa rischiare di ritrovarsi, quando James smetterà, nella stessa situazione di Cleveland adesso.

Certo, magari con qualche banner in più appeso al soffitto dello Staples.

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