sabato 1 ottobre 2016

Brividi


Nel 1970 viene introdotta la legge Fortuna-Baslini, il dimenticato Jochen Rindt vince il campionato di Formula 1 davanti a Jacky Ickx e mia madre conosce mio padre.
A Londra, invece, viene registrato il Concept Album di Jesus Christ Superstar.
Poco dopo l'inizio del quarto brano, Everything's Alright: non è tra i più famosi, e forse nemmeno tra i migliori. Ma quella che entra in scenda dopo poche decine di secondi è la voce di Judas, interpretata da Murray Head. Non minimizzo se sostengo che è uno degli attacchi più belli non solo dei musical, ma di tutta la musica leggera di sempre.
Ascoltarlo, mi genera ogni volta brividi lungo la schiena. Non sto scherzando. OGNI SANTISSIMA VOLTA.
Woman your fine oinment - brand new and expensive
Could have been saved for the poor
Why has it been wasted? We could have raised maybe
Three hundred silver pieces or more
People who are hungry, people who are starving
Matter more than your feet and hair
Jesus Christ Superstar (Original Concept Album) 

In queste poche strofe è raccolto quasi tutto il senso del musical, il conflitto interiore di Judas tra la sofferenza terrena del suo popolo e la presenza divina di Jesus, tra il bene immediato e quello eterno.

Head non è, e non è mai stato, molto famoso. Nulla di paragonabile al collega che interpretò proprio Jesus in quello stesso album, Ian Gillan.
Che, se non sei avezzo di musica rock, è il cantante di un certo gruppo piuttosto conosciuto chiamato Deep Purple.
Ho avuto la fortuna di assistere dal vivo ad un loro concerto, durante una giornata del Pistoia Blues, nel 1999. All'epoca Internet non era quella che è adesso, e di certo Wikipedia non esisteva. Seppi solo quella sera, quindi, che Ritchie Blackmore aveva lasciato definitivamente la band solo pochi anni prima. Per carità, Steve Morse non era un fermone, anzi. Ma per me, cresciuto con videocassette malamente doppiate di concerti dei Deep Purple in formazione classica (ma io direi "vera"), quella fu una batosta.


L'esperienza di quel concerto, fu scioccante. Ma non fu solo il concerto. Il Pistoia Blues è qualcosa che va (andava?) ben oltre il semplice concerto in piazza. Appena sceso dal treno, a pochi metri dai binari, un gruppo di sconosciuti con batteria, basso e chitarra già emanava il classico trittico di accordi blues. Uscito in strada, un'altro tizio con chitarra e armonica accompagnava una ragazza nell'ennesima interpretazione di I'll Take Care Of You. La cosa si ripeté per tutto la strada verso la piazza centrale. Gente super attrezzata, con amplificatori, casse, batterie iper-mega e microfoni da migliaia di lire (all'epoca ancora non c'era l'euro, per dire quanto sono vecchio). E poi c'erano tizi che con uno zoccolo, una ciabatta ed un'acustica scordata impersonavano la perfetta espressione del blues.

La serata cominciò presto, con gruppi ed artisti sconosciuti e sconoscibili. Dopo i mancabili gruppi spalla salì Lucky Peterson, che forse rappresentava l'unico vero bluesman che avrei sentito per tutta la serata. 
Poi arrivò Jonny Lang. Lo ricordo bene perché, in pratica, aveva la mia età ed apriva il concerto dei Deep Purple. Quando si dice essere arrivati.
Io ero già stanco, attorno a me c'era più droga che nella villa di Escobar e ne avevo piene le palle del blues.
Ma dopo qualche decina di minuti di attesa, le note di Smoke On The Water ripagarono ogni singolo faticoso minuto speso per arrivare lì.


Stesso posto, 9 anni dopo. Ma 9 anni, per i Deep Purple, equivalgono a 9 mesi di un essere umano.

Che poi, a dirla tutta, nemmeno adoravo i Deep Purple. Cioé, non puoi non apprezzare i Deep Purple, per carità. Sarebbe come non apprezzare la Cappella Sistina. Ma per suoni e storia ero più legato ad altri gruppi, meno duri ma più eclettici.
In ogni caso, la piazza era stracolma. Gente che fumava, gente che beveva, gente che pogava. Ma nessuno che piangeva.


Voglio dire, ero davanti ad uno dei gruppi che hanno fatto la STORIA del ventesimo secolo, gente che riempie le piazze da quasi CINQUANTANNI. Ed attorno a me c'era solo gente che godeva. Ragazzini come me non ancora maggiorenni, trentenni sotto LSD, gente di mezza età con cannoni lunghi 40 centimetri.
Vorrei tornare qui, tra 50 anni, a verificare se ancora qualcuno ricorda il nome di uno componente degli One Direction, dei Tokyo Hotel o dei Backstreet Boys. La musica è ormai un bene di consumo, con data di scadenza, un disco (virtuale) da ascoltare e dimenticare subito dopo, per passare ad altro.
Ogni volta che leggo le bio degli X-Japan mi vengono i brividi. Una carriera brevissima (appena 5 album), un lampo intensissimo nella scena rock mondiale che ci ha lasciato perle più emozionanti di mille brani di Justin Bieber.
I discografici fanno il loro lavoro, ma per me è molto più importante la musica che il personaggio. E solo quando lo capiranno anche loro, avremo meno meteore e più supernove.

Con un brivido ho iniziato e con un'altro finisco.


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