Quando ero un ragazzino (o meglio, poco più che bambino), spesso mi trovato a giocare da solo, nel campo in cemento della scuola, tirando il pallone contro il muro, allenandomi nei vari tipi di calcio. Caparbiamente, ossessivamente, ma senza metodo.
Non ero (e non sono) un gran calciatore e non ho mai avuto il fisico da sportivo, ma ho sempre utilizzato al meglio la mia capacità di apprendere la tecnica di ogni gioco, magari senza svettare, ma raggiungendo in ogni disciplina sempre buoni risultati.
L'unico pensiero che avevo, all'epoca, oltre la concentrazione sulla posizione del corpo e sul punto di impatto tra palla e piede, era il sogno che un qualunque allenatore, un selezionatore, o magari un calciatore passasse di lì per caso e mi vedesse, magari si fermasse a fare due passaggi, mi portasse ai suoi allenamenti.
Inutile sottolineare come il sogno, ingenuo, sia rimasto tale, ma non ho potuto tornarvi con la memoria quando ho visto questa foto.
14-year-old Robbie McNulty was shooting hoops one night when @Isaiah_Thomas walked over https://t.co/I9DkZkX13p pic.twitter.com/e65onXUJ1l— The Boston Globe (@BostonGlobe) 9 settembre 2016
Isaiah era alla scuola del figlio quando ha visto questo ragazzino, tale Robbie McNulty, intento a tirare a canestro, tutto solo, in un campo mezzo infangato dalla pioggia. Non ci ha pensato due volte, si è presentato come Isaiah (come se quel ragazzino non avesse riconosciuto il frizzante playmaker dei Boston Celtics) ed ha chiesto di fare due tiri assieme a lui.
Non dico che il mio sogno, condiviso con miliardi di bambini in tutto il globo, si avveri solo negli USA, ma non posso che notare come spesso le star di oltre oceano si comportino in modo più umano che nel vecchio continente.
Thomas era alla riunione dei genitori (per dire, io non ci vado mai...), quando uno che guadagna $7M te lo immagini in piscina a sorseggiare Crystal accerchiato da avvenenti 18enni. Certo, Boston non è Los Angeles, è una città che ti porta ad essere umile, con il suo cielo sempre plumbeo, i grattacieli non così eccessivi ed i 17 stendardi (uno per ogni titolo) che pendono sulla tua testa come la damoclea spada ad ogni partita nel TD Garden (il cui parquet sembra fatto con gli scarti, tanto per rimanere in tema).
Intorno a se aveva solo la moglie che (dopo avergli sconsigliato di provare una battuta a baseball) la immagino intenta nel più classico dei facepalm quando lo ha visto dirottarsi verso il canestro.
Dato che ieri era il cinquantenario.
Isaiah non aveva telecamere, giornalisti, social-manager. Si è fermato a giocare con quel ragazzino solo perché da bambino aveva anche lui sognato come tutti noi ed adesso voleva ripagare quel debito verso la fortuna.
Quando ero piccolo come lui, nel mio stabilimento balneare, veniva un ex-calciatore di serie A, ancora piuttosto in forma, ma in ogni caso non certo tra i più famosi. Distava solo poche tende da noi, e si comportava da fenomeno (nell'accezione negativa del termine). Il che, non calcando più il campo da calcio da anni, era per lo meno fuori luogo. Cellulare con suoneria a manetta, voce alta, poco rispetto. Per inciso, il figlio, più o meno della mia età, aveva preso in gran parte dal padre.
Non per fare paragoni, ma mi piace accostare le due situazioni.
Tutto questo porta a chiedermi quanti calciatori, in Italia o anche in Europa farebbero lo stesso, senza pensare di averne un ritorno mediatico. Mi viene in mente, ad esempio, Cristiano Ronaldo:
Cristiano Ronaldo tra 30 anni dopo una vita cercando di imitare Gianluca Vacchi.
Sketch simpatico (ma anche no), ma in situazioni ben differenti: uno era da solo che un suo fan (ma poteva anche non esserlo), senza telecamere pronte ad immortalarlo, senza nemmeno un tweet (se non una piccola battuta sul profilo Instagram del ragazzino, giusto per confermare l'evento), sostanzialmente in mezzo al nulla.
L'altro era in centro di Madrid, dove in pratica è Dio con addominali più scolpiti, seguito da videocamere nascoste e accerchiato da orde di fan.
Non voglio dire chi sia meglio di chi, che negli USA siano tutti stinchi di santo o che in Italia siano tutti stinchi di Balotelli, ma credo anche che ci sia un motivo per il quale si chiama Sogno Americano e non Sogno Italiano o Sogno Spagnolo. Probabilmente il fatto che viva in una città ben distante da qualunque sportivo di primo piano abbassa drasticamente quella che è la mia percezione di normalità delle star nostrane.
Ma quanto spesso capita che, che ne so, Maradona partecipasse ad un torneo di calcio per strada? A New York era normale vedere gente già affermata in NBA partecipare ai tornei di playground durante l'estate. E di certo gli avversari non si risparmiavano, potendosi confrontare con quelli che, spesso, erano i propri idoli. E non raramente riuscendo perfino a batterli.
Oggi è più raro, fosse anche solo per problemi di natura logistica, vedere LeBron o Durant partecipare ad un playground, ma di sicuro capita ancora che un All-Star si fermi a giocare con un ragazzino solitario in un umido campetto di periferia.
Se io fossi ancora un bambino, saprei cosa sognare.
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